martedì 5 novembre 2013

Giorno 17 - Transilvania Express

È forse quando il fumo comincia a ballare sulle note di una musica troppo antica per essere descritta che posso considerarmi felice


Le strade coperte della nebbia umida del mattino camminavano lente tra la fanga e l'erba.
L'aria dell'autunno portava con sé il sentore della neve vicina e dei camini accesi nelle casupole sparse.
E mentre i carretti passavano lenti e i contadini uscivano ai campi con i loro arnesi, l'uomo andava.
Era vecchio, storto come un ramo nodoso e, piegato, portava su di sé il peso della sua umanità.
Il cielo schiariva piano la patina rugiadosa sul mondo, in quel mattino d'autunno, e lui andava a cercare un luogo dove posare il peso che portava con sé da una vita.

A mezzogiorno, il tepore fresco di quella giornata marrone e gialla di foglie che incessanti si accucciavano a terra portò l'uomo in un campo al lato della via.
Gli alberi spogli cantavano la loro canzone di violini e foglie regali e il vento sussurrò al suo orecchio che lì e solo lì avrebbe riposato per bene.
L'uomo si sedette, insieme alle foglie, ai piedi di quei rami stranamente somiglianti a lui, lasciò che il mantello cadesse dalle sue stanche spalle, aprì leggermente la pelliccia che lo accompagnava sotto il mantello, quasi ad invitare il suo corpo stanco a respirare l'aria fresca che si insinuava maliziosa addosso a lui, e cullò la sua vecchiaia sul tronco di quell'albero.
L'albero gli comunicò in quel preciso momento una moltitudine di cose sulla vita e l'uomo, nel suo dormiveglia, pensò che mai aveva sentito un albero esprimersi così bene... ma che dico?! Nessuno gli aveva mai rivolto una parola così dotta e confortante!
E il vento continuava a cantare la sua canzone sottovoce, tra i rami, nell'erba, sui sassi e sul vecchio che, chiusi gli occhi, godeva di quel concerto inatteso.

E così, cantando insieme al vento e parlando con un albero, il vecchio uomo morì.

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